Nel terzo ed ultimo appuntamento dedicato al mondo dei microfoni e dopo aver passato in rassegna quelli che sono i modelli più adatti alla registrazione live ed in studio, ci concentriamo sugli approcci alla ripresa microfonica, facendo una panoramica delle principali tecniche.
Nei capitoli precedenti ci siamo occupati delle tipologie dei microfoni in base alla costruzione e quelli che sono, in linea generale, più indicati per applicazioni in studio e dal vivo.
Come abbiamo capito molto presto non esistono microfoni esclusivamente dedicati ad un ambito o ad un altro, dato che, in ultima analisi, seppur con le dovute differenze costruttive, sempre di strumenti per la ripresa di sorgenti sonore si parla…
Abbiamo però imparato ad operare delle scelte, in base all’applicazione, alla location, allo strumento e, abbiamo compreso che spesso la sperimentazione e la creatività possono portare a risultati inaspettati.
Se si parla poi di tecniche microfoniche, allora è bene sapere fin da subito che si apre un mondo intero! La
microfonazione è un’arte che si affina con la conoscenza degli strumenti utilizzati, con
lo studio e soprattutto con la pratica. Se è vero che esistono delle “regole” più o meno considerate standard per alcune metodologie di ripresa microfonica è altrettanto vero che provando soluzioni differenze si possono ricreare sonorità molto interessanti.
Siccome vogliamo affrontare l’argomento ancora una volta dal lato squisitamente pratico, cercheremo anche
in questo terzo capitolo dedicato alla serie di porre alcune “fondamenta” dalle quali partire, salvo poi affinare la tecnica con studio ed esperienza. Si tratta di alcune “considerazioni” sempre valide e che, salvo casi particolari,
nel bene o nel male ci permettono di “portarla a casa”, ed ottenere un risultato degno.
Una delle prime accortezze è fare in modo che lo strumento acustico che si vuole riprendere sia ben suonante all'origine. Questo significa intanto che sia privo di difetti sonori evidenti come vibrazioni, fastidiose armoniche secondarie, che sia perfettamente intonato (accordato nel caso in strumenti a corde) e che sia in grado di emettere un suono sufficientemente potente da essere captato da un microfono.
A questo punto è sempre opportuno ascoltare lo strumento prima da distanza ravvicinata e poi da un paio di metri, così da farsi un'idea precisa di quello che è il timbro dello strumento. Il timbro, insieme all'altezza, l'intensità e la durata costituisce le caratteristiche di un suono.
Nel più semplice dei casi quello che dovremo andare a catturare col microfono sarà un suono il più possibile
simile all’originale ascoltato in acustico.
Detta così sembra tutto facile, ma è realmente possibile registrare un suono identico all’originale suono acustico?
In linea di massima no e per una serie infinita di variabili, non ultimo il sistema di ascolto col quale ri-ascoltiamo questo stesso così accuratamente registrato.
Ma andiamo con ordine e cominciamo a parlare di approcci, prima ancora che di tecniche.
Close, Mid, Far
Quando piazziamo un microfono, o più microfoni, per riprendere uno strumento acustico la prima cosa che dobbiamo scegliere, dopo aver scelto la tipologia di microfono (un argomento che abbiamo trattato negli appuntamenti precedenti) è la distanza con la fonte sonora.
Qui vige più o meno una regola generale che ci dice che più il microfono è ravvicinato e più viene catturato il suono “asciutto” e diretto dello strumento mentre man mano che ci si allontana dalla fonte il suono si arricchisce di tutte le caratteristiche delle stanza di ascolto, valorizzando quindi eventuali riverberi o risonanze, pregi e in alcuni casi difetti.
A questo punto potremmo essere portati a pensare che il “close miking”, la ripresa ravvicinata, sia sempre da preferire, ma in realtà le cose non stanno proprio così, e lo spiegheremo con un esempio pratico.
Quando noi ascoltiamo una chitarra acustica in una stanza, non la ascoltiamo propriamente con l’orecchio posto a 20 cm dalle corde, ma piuttosto all'interno di un ambiente con delle caratteristiche peculiari che può aggiungere al suono dello strumento. Inoltre il propagarsi delle onde sonore nello spazio (che lo ricordiamo hanno forma sferica) fa si che questo stesso suono cambi nel tempo e nello spazio. Quindi, ciò che ascoltiamo a mezzo metro non è lo stesso suono che le nostre orecchie percepiscono a 5 metri, e via discorrendo.
Per questa ragione spesso, oltre al microfono ravvicinato, è bene piazzarne un secondo o più distanziati e che andranno ad arricchire e rendere più naturale il suono.
Fino a questo punto tutto potrebbe sembrare bello e semplice se non fosse che esiste una cosa che si chiama fase. Qui bisognerà essere semplice pragmatici, anche se il consiglio è di approfondire l'argomento voi stessi.
Due suoni che partono dallo stesso punto arrivano in due punti diversi in un lasso di tempo diverso, più precisamente accade che il suono arriva più velocemente al primo punto e dopo un certo intervallo di tempo arriva al
secondo punto posto ad una certa distanza. Molto spesso questa distanza viene espressa in ms (millisecondi).
Quindi, quando noi prendiamo due suoni ripresi da due microfoni posti a diversa distanza e li andiamo ad inserire in un mix “orizzontale” avremo per forza di cose delle discrepanze di fase tra la prima onda di segnale e la seconda onda. Un suono in controfase infatti, si riferisce ad un suono ruotato di 180° e che - almeno teoricamente - si annulla.
Nella pratica anche due suoni acustici in controfase non si annullano mai completamente, questo perché nel tempo il suono subisce delle modifiche e non risulta mai essere perfettamente uguale al suono ripreso nel primo punto, ma
l'effetto di controfase è potenzialmente molto fastidioso.
Nei sequencer digitali moderni si può “giocare” con la fase a piacimento, ritardando di alcuni ms il primo suono o anticipando il secondo (che nessuno dica che si può anticipare il primo suono a meno che non possieda una macchina
del tempo!) così da trovare il miglior compromesso che, nella maggior parte dei casi, si trova solo ascoltando!
La stereofonia
Siccome la maggior parte dei sistemi di ascolto da ormai molti anni è stereo (la data ufficiale della
nascita della
stereofonia viene fatta risalire al 1931 con l'ingegnere Alan Dower Blumlein,
un nome che dovete tenere a mente per diversi motivi) è pratica altrettanto comune, soprattutto per alcuni strumenti, avvalersi di tecniche di microfonazione stereofoniche, ossia tecniche che prevedono l’uso di due
microfoni posti più o meno angolati e più o meno ravvicinati tra di loro.
Ne esistono di molti tipologie e con rese sonore piuttosto interessanti, tutte tecniche, minuziosamente spiegate e definite, e che potrete sviscerare, almeno in un primo studio sommario, a questo link molto valido (thanks to soundmaster.it).
La ripresa funzionale ad un mix
Prima di concludere questo breve estratto sull’approccio alle tecniche di registrazione, vorremmo fare un’ultima
dissertazione in merito a quello che è il
risultato che dobbiamo ottenere da un dato suono in funzione di un mix.
Questo perchè, a meno che non stiamo registrando un concerto per pianoforte solista, o una chitarra classica o un qualsiasi altro strumento singolo, le tracce che andremo a riprendere andranno sempre e comunque inserite all'interno di un mix fatto da diversi strumenti, con caratteristiche diverse ma che spesso “lavorano” su range di frequenza simili o addirittura sovrapposti.
Quello che dobbiamo chiederci infatti è qual è la caratteristica (o caratteristiche) peculiari di un certo strumento? Qual è quindi la timbrica che dobbiamo assolutamente riprendere affinchè questo stesso strumento possa essere ascoltato e percepito (attenzione, la parola “percepito” è una parola chiave) nel nostro mix senza per questo andare ad “invadere” uno spettro di frequenze troppo ampio?
Ok, vi piacciono gli esempi concreti e quindi eccone uno tra i più classici. Kick Drum e basso elettrico che spesso in un arrangiamento di una song pop e rock lavorano insieme facendo il cosiddetto strumming.
Entrambi sono strumenti che emettono un suono piuttosto grave, ricco di frequenze basse, ma una delle caratteristiche della cassa della batteria è data da quella che si chiama punta, il “kick”, che è fondamentale per rendere tutta il suono ben definita nel mix, oltre ovviamente alla parte bassa, del “bottom”, altrettanto importante. Per il basso elettrico vale un discorso analogo e per “uscire” bene dal mix il suono deve avere una bella base ricca di frequenze basse ma anche un suono più penetrante, tipicamente ottenuto pizzicando la
corda, sia che sia fatto con le dita sia col plettro.
In quest’ottica dovremo lavorare bene fin dalla ripresa microfonica, così da essere certi che queste caratteristiche siano ben rappresentate nel mixaggio. Ricordate anche che ad un suono registrato è facile togliere ma difficile aggiungere.
Dopo questo esempio è facile capire il motivo per cui molto spesso si mette un microfono dinamico immediatamente vicino al battente della cassa, così da riprendere il caratteristico “kick” ed uno posto appena fuori alla pelle
risonante per riprendere la parte più grave del suono.
Con gli esempi potremmo andare avanti per ore, ma preferiamo lasciare a voi l'interpretazione di queste ultime raccomandazioni e soprattutto provare sul campo soluzioni e possibilità
Conclusioni
Forse deluderemo qualcuno di voi ma, mai come questa volta, non esistono vere e proprie regole universalmente riconosciute come valide.
Certo c’è la regola del rispetto di triplo della distanza, ci sono le varie tipologie di microfonazione stereo, piuttosto rigorose nell'applicazione, ma la realtà dei fatti è che la storia insegna che alcuni suoni incredibilmente riusciti e che hanno fatto epoca sono scaturiti da prove empiriche o addirittura veri e propri errori…
Si dice che la vera arte della microfonazione venga espressa nella ripresa della musica sinfonica e classica più in generale, dove ogni dettaglio fa una grandissima differenza, a cominciare dalla qualità dei microfoni stessi. Ad
ogni modo, anche senza velleità artistiche, speriamo anche questa volta di
essere stati utili.