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Tecnologie digitali per chitarra elettrica: dalle università alla musica (Pt. 1)

Tecnologie digitali
per chitarra elettrica:
dalle università alla musica (Pt. 1)

Nascita e sviluppo dell’amplificazione digitale per chitarra


In questo articolo ci dedichiamo alle tecnologie digitali applicate all’effettistica e all’amplificazione per chitarra elettrica partendo dai primordi dell’informatica, per arrivare alla nascita dei primi prodotti musicali digitali.

Per una panoramica sui primi passi nello sviluppo delle chitarre elettriche dei loro amplificatori nella prima metà del XX secolo, dai un’occhiata a quanto abbiamo già scritto nell’articolo sugli amplificatori a valvole e in quello sugli amplificatori solid state.


Gli amplificatori possono sostanzialmente essere di quattro tipi:

  • a valvole o valvolari (tube o valve amp)
  • a stato solido (solid state)
  • digitali (digital o modeling amp)
  • ibridi (hybrid amp)


In questa prima parte dell’articolo ci occupiamo in modo succinto e comprensibile di:

  • Prodromi dell’era digitale
  • Informatica a relè
  • La via della miniaturizzazione
  • Digitale per i chitarristi
  • Che cos’è un processore digitale?


Nella seconda parte dell’articolo sugli amplificatori digitali parleremo di:

  • Il physical modelling
  • Finali digitali
  • Uso pratico
  • L’evoluzione continua


Prodromi dell’era digitale

Sembrerà curioso, ma, per trovare le prime tracce di un percorso che sembra appartenere solo ai nostri giorni bisogna risalire molto indietro nel tempo. Lasciamo alla pura citazione “informatici” del ‘600 come Blaise Pascal o Gottfried Leibniz, i tentativi ottocenteschi dell’inglese Charles Babbage di realizzare calcolatori meccanici basati sulle schede perforate dei telai tessili Jacquard. Fu invece un grande e alquanto oscuro matematico senza laurea a occuparsi di “tradurre” in algebra i meccanismi logici umani: George Boole.


Questi intorno alla metà del XIX secolo sviluppò il sistema matematico detto algebra booleana, in cui, in luogo delle classiche operazioni matematiche (addizione, sottrazione, etc.) si utilizzano operatori come AND, OR e NOT, e come unici due valori Vero e Falso (True/False), rappresentati anche come 1 e 0.

Curiosità: in questo ambito matematico è definito anche l’operatore BUFFER, che lascia passare ciò che riceve invariato. Vi dice qualcosa?


Informatica a relè


A grandi digit, ehm… passi arriviamo agli Anni ’30. Mentre i contemporanei padri dell'informatica, come Alan Turing, erano già al lavoro, nel 1938 un matematico e ingegnere statunitense, Claude Shannon, elaborava gli studi del giapponese Akira Nakajima (in forza alla NEC) e conseguiva un master in ingegneria elettronica al MIT (Massachusets Institute of Technology) con la tesi Un'analisi simbolica dei relè e dei circuiti. Applicando l'algebra booleana ai relè elettromeccanici – per i quali sono possibili i soli due stati Vero/Falso (On/Off) – Shannon diede il via alla progettazione dei circuiti digitali e alla comunicazione digitale dell’informazione. I suoi ingombranti circuiti elettromeccanici utilizzavano i relè come interruttori On/Off (chi ha già letto il nostro articolo sugli amplificatori solid state comincerà a capire…) a seconda delle istruzioni impartite dal programma. Lo studio servì alla Bell Labs, dove lavorò Shannon, per le sue reti telefoniche. Contraendo il termine digit Shannon fu anche il primo a parlare di bit, unità digitale elementare che, in numero di 8, forma un byte.

Curiosità: lavorando velocemente per trasmettere le informazioni, i relè si riscaldavano molto e un insetto (in Inglese bug) che malauguratamente ci si fosse posato sopra restava stecchito sul posto. Per questo ogni tanto era necessario procedere a una pulizia, ovvero a un… debug!


La via della miniaturizzazione

I primi computer elettromeccanici furono seguiti da quelli valvolari a uso militare. Fin qui grandissime dimensioni. Nel 1954 la Texas Instruments iniziò a produrre transistor in serie. Nel 1968 il fisico italiano Federico Faggin studiò per la Fairchild una tecnologia che permetteva di inserire più transistor e componenti in un unico circuito integrato (IC, vedi foto del primo ideato da Faggin).



Da allora la corsa alla miniaturizzazione non si è più fermata, con tutti i progressivi vantaggi di progettazione, riduzione delle dimensioni e dei costi. Non dimentichiamo inoltre che a ogni stadio di miniaturizzazione corrisponde un incremento della velocità dei processori; dal momento che le celle interne sono ogni volta più vicine tra loro, la distanza percorsa dal segnale si accorcia.

In quanto brevemente descritto ci sono le basi per lo sviluppo dei generatori digitali di effetti per i musicisti, ovvero macchine con un’elettronica che non tratta per via analogica il segnale elettrico (tempo continuo) ma in modo digitale, trasformandolo in codice binario (0-1), quindi in informazioni gestibili e modificabili grazie a un programma scritto e memorizzato. Il processo di trasformazione del segnale analogico in informazione digitale si chiama conversione A/D. Poiché per la maggior parte degli usi a valle è necessario un segnale elettrico analogico, questo viene ottenuto dalle informazioni digitali trattate tramite una conversione D/A finale. La qualità delle conversioni A/D e D/A è associata a due valori: frequenza di campionamento (sampling) in kiloHertz e risoluzione in bit. Dai valori iniziali degli Anni ’80 di 44,1 kHz 16 bit (lo standard dei CD) siamo passati ai 96 kHz 24 bit dei sistemi di effetti e registrazione attuali.



Digitale per i chitarristi


Per i chitarristi le prime applicazioni digitali furono alcuni pedali giunti a metà degli Anni ’80 (il delay Boss DD-2 fu il primo nel 1984). In quel decennio e nel successivo apparvero e si moltiplicarono gli effetti da rack, inizialmente soprattutto delay e riverberi, sempre più potenti e performanti, con ricostruzioni man mano più accurate di ambienti e ritardi grazie a processori più potenti, spesso dedicati, e memorie più economiche. Preamplificatori e multieffetti (DigiTech, Zoom, Art, Rocktron e altri) furono riuniti in un unico chassis, al cui ingresso si collegava la chitarra mentre dall’uscita si andava a un finale con cabinet, anche in versione stereo, o direttamente a un mixer o un registratore se la macchina era dotata anche di una uscita diretta con simulazione di cassa. [Nella immagini il DigiTech GSP 2101 del 1993 e un algoritmo di multieffetto base; notare il dry path per il segnale analogico in ingresso].

Un armamentario completo e complesso, gestibile dal chitarrista grazie alla nascita del protocollo MIDI (Musical Instrument Digital Interface) progettato con il supporto di grandi fabbricanti di tastiere giapponesi.


Che cos’è un processore digitale?

Si tratta di un circuito elettronico digitale che, convertito il segnale del pickup della chitarra in codice binario, ne permette la manipolazione: distorsione, equalizzazione, compressione, riverbero e tanti altri effetti dinamici ed estetici vengono sommati al segnale originario secondo i desideri del musicista e le capacità della macchina. A fine trattamento quanto ottenuto viene riconvertito – con una certa approssimazione – in segnale analogico per l’invio ai dispositivi in coda alla catena di segnale: amplificatore finale (solitamente solid state) e altoparlante.

Per i multieffetti digitali è auspicabile una fondamentale soluzione tecnica: la separazione in due percorsi paralleli di segnale analogico originale e flusso digitale, che vengono ricomposti in uscita. Rispetto alla conversione tout-court del segnale all’ingresso in codice, la separazione dei trattamenti permette di mantenere le qualità apprezzate del segnale analogico (per la chitarra elettrica), e avvalersi al contempo degli effetti ad esso miscelati. L’avvento negli amplificatori degli effect loop paralleli ha reso questa soluzione non più essenziale, essendo il mix disponibile direttamente dal loop.

Una grande evoluzione dei processori digitali è rappresentata dall’avvento delle simulazioni digitali (non è proprio corretto chiamarle emulazioni) di amplificatori, cabinet ed effetti, dapprima tramite software e reti di controllo dinamico e tonale (preamp, EQ, compressione, etc.), poi, anche se non per usi chitarristici, con campioni digitali.


Non è finita…

Nella seconda parte dell’articolo andremo al cuore dell’amplificazione digitale per chitarra, con macchine integrate, amplificatori digitali e software di simulazione dalle capacità impensabili fino a pochi anni fa. Insomma, il bello deve ancora venire!



Riferimenti

Paul Nahin, Il logico e l’ingegnere. L’alba dell’era digitale, 2015 Codice
Vari, Plug In – suppl. ad Axe - Periodico per chitarristi n.35, 1999 Edizioni Palomino